Questo è un blog a contenuto religioso sei il benvenuto/a. Concedi a noi tuoi fedeli, o Signore, di godere di continua salute dell'anima e del corpo e per intercessione della gloriosa e beata sempre Vergine Maria, fà che siamo liberati dalle prove presenti e possiamo godere della gioia futura. Per Cristo nostro Signore. Amen.( Antichissima preghiera carmelitana, il Concede, entrata in uso dal 1281 ).
Antichi resti dei primi carmelitani
Beata Vergine Maria del Monte Carmelo
domenica 27 marzo 2011
III DOMENICA DI QUARESIMA – A
1. L’itinerario della quaresima è un itinerario battesimale-crismale, che nel ciclo A dell’anno liturgico viene espresso dai tre grandi segni dell’evangelo di Giovanni: il segno dell’Acqua Viva (Gv 4,1-42) – è il vangelo di questa domenica –, il segno della Luce (Gv 9,1-41) con il discorso che lo spiega (Gv 10), il segno della Vita Nuova (Gv 11). Gli altri quattro segni, che troviamo sempre nel vangelo di Giovanni, sono: il segno delle Nozze (Gv 2,1-12), il segno del Tempio-Corpo (Gv 2,13-23), il segno del Pane di Vita (Gv 6,1-15) con il discorso che lo spiega (Gv 10), il segno dell’Unzione di Betania (Gv 12,1-11).
La contemplazione di questi sette grandi segni tracciano nel vangelo di Giovanni, dal cap. 2 al cap. 12, il cammino verso l’Ora della Pasqua, cammino iniziato con quello che l’evangelista chiama «l’inizio dei segni» (Gv 2,11), ovvero il “segno archetipo”, il “segno matrice” che sta all’origine di tutti gli altri segni e li contiene tutti in sé. Così ogni segno anticipa l’Ora della Pasqua e offre la chiave interpretativa della nostra esistenza umana e cristiana sempre alla luce dell’Ora della Pasqua.
Ecco perché, collocando questi segni nell’itinerario della quaresima, dopo la contemplazione del Cristo provato (prima domenica di quaresima) e del Cristo trasfigurato (seconda domenica di quaresima), la liturgia della quaresima ci invita a riconsiderare la nostra vita cristiana come esistenza rinata dall’Acqua Viva di Cristo (terza domenica di quaresima), come esistenza illuminata dalla Luce di Cristo (quarta domenica di quaresima), come esistenza che porta in sé la grazia della Vita Nuova di Cristo, che è Vita che non muore (quinta domenica di quaresima).
Accostiamoci allora alla pagina del vangelo di questa domenica che narra dell’incontro di Cristo con la Samaritana (Gv 4,5-42), primo segno dell’Acqua Viva dell’itinerario quaresimale.
2. Gesù compie un viaggio faticoso (Gv 4,6) attraverso la Samaria. È la fatica della evangelizzazione in una terra difficile. Infatti sappiamo che i Giudei consideravano i Samaritani come degli scismatici, poiché questi si erano fatti contaminare dallo stile idolatrico dei popoli vicini, e poi sul monte Garizim avevano costruito un Tempio al Dio d’Israele in contrapposizione al Tempio di Gerusalemme. All’idolatria dei Samaritani si allude quando Gesù parla dei “mariti” della donna (Gv 6,18), ai due Templi contrapposti quando si parla dell’adorazione del Padre «su questo monte» e «a Gerusalemme» (Gv 6,20-21). Va anche detto, però, che i Samaritani sono stati i custodi del testo biblico della Torah; se i primi cinque libri della Bibbia sono arrivati a noi, lo dobbiamo proprio a loro.
La fatica di Gesù, allora, sta nel far prendere coscienza alla donna della necessità di ritornare alle sorgenti della Parola di Dio, di riesaminare la sua esistenza e di ricucire la relazione fraterna con i Giudei.
3. L’incontro con la donna, avviene al pozzo di Giacobbe. Il pozzo nella Bibbia è il luogo dove, oltre che attingere acqua, avvengono gli incontri, nascono le amicizie. gli amori. E guardando con più attenzione nei testi biblici, come ha fatto, ad esempio, Origene, ci accorgiamo che il pozzo è simbolo anche della S. Scrittura, dove si va ad attingere l’acqua viva della Parola di Dio che accompagna il cammino della vita e che sazia la nostra sete di Dio e della sua Parola, ma con una particolarità: mentre sazia la sete, nel contempo la aumenta sempre di più (Sir 24,21); come a dire: ci sollecita sempre a cercare Dio e la sua Parola. Per questo la liturgia al vangelo accosta la pagina di Es 17,3-7 (prima lettura), dove l’acqua scaturita dalla roccia, simbolo della presenza di Dio in mezzo al suo popolo e della sua Parola (salmo responsoriale: Sal 95).
4. Grazie all’incontro con Gesù la donna Samaritana compie un itinerario di fede significativo.
Il primo momento (Gv 4,7-18) è dato dal dialogo amichevole con Gesù, il quale, stando seduto sul pozzo (come colui che siede per insegnare), suscita in lei la vera sete nella Parola di Dio e la aiuta ad esaminare la sua vita e le sue scelte idolatriche (i “mariti”). In questa fase del dialogo la donna percepisce che Gesù è un profeta.
Il dialogo continua per iniziativa della donna, che pone la domanda su quale monte si deve adorare Dio: Garizim o Gerusalemme? È il secondo momento dell’itinerario (Gv 4,19-26). La risposta di Gesù è tutta orientata a far comprendere che la vera adorazione del Padre consiste nel culto in Spirito e Verità, cioè nel culto esistenziale di una vita umana che si lascia animare e guidare dallo Spirito e plasmare dalla Verità, ovvero dalla persona del Figlio Gesù, la Parola eterna del Padre e l’immagine autentica della Fedeltà del Padre alle sue promesse di amore. Il vero tempio, luogo della presenza di Dio, è dunque la nostra persona, la nostra esistenza.
Va anche notato che parlandole del Padre, Gesù intende non solo convertire lo stile di vita della donna, riconciliandola con Dio e ridandole quella speranza che non delude (seconda lettura: Rm 5,1-2.5-8), ma anche ricucire la relazione interrotta tra Giudei e Samaritani, nel rispetto della diversità e della tipicità delle due popolazioni. D’altronde, parlare del Padre e adorare il Padre in Spirito e Verità, implica la consapevolezza del nostro essere tutti figli suoi e tutti fratelli tra di noi, nessuno escluso.
In questa fase del dialogo la donna comprende che il Messia Sposo atteso è Gesù, colui che ha aperto il dialogo amicale con lei, parlandole della Parola viva di Dio e degli autentici adoratori del Padre.
Il dialogo ha termine. Che cosa fa la donna? «Lascia la sua anfora» e va in città a raccontare l’esperienza dell’incontro con Gesù, il Cristo, il Messia. È il terzo momento dell’itinerario (Gv 4,28-30.39-42). La donna «lascia la sua anfora», che gli serviva per portare con sé l’acqua del pozzo, perché adesso, dopo l’incontro con Gesù, lei è diventata quel “pozzo” che porta in sé l’acqua zampillante della Parola di Dio («l’acqua che io gli darò, diventerà in lui una sorgente d’acqua zampillante per la vita eterna»: Gv 4,14) e la comunica agli altri con la forza della parola e della testimonianza (Gv 4,39).
La donna da evangelizzata è diventata evangelizzatrice, da idolatra (e tante e sottili sono le varie forme di idolatria… ) è diventata adoratrice del Padre in Spirito e Verità. E come ogni vero e autentico evangelizzatore e adoratore del Padre, non attira l’attenzione su di sé, ma su Cristo Gesù, affinché ognuno possa fare la stessa esperienza dell’incontro con il Messia, Sposo e salvatore del mondo.
E infatti, Gesù rimase in quella città due giorni, e coloro che credettero furono molto di più, e dissero alla donna: «Non è per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo» (Gv 4,42).
Che anche a noi, attingendo l’acqua viva della Parola di Dio, ci sia data la grazia di diventare veri adoratori del Padre, testimoni ed evangelizzatori del suo Figlio Gesù, Messia e Sposo della Chiesa e dell’umanità.
La contemplazione di questi sette grandi segni tracciano nel vangelo di Giovanni, dal cap. 2 al cap. 12, il cammino verso l’Ora della Pasqua, cammino iniziato con quello che l’evangelista chiama «l’inizio dei segni» (Gv 2,11), ovvero il “segno archetipo”, il “segno matrice” che sta all’origine di tutti gli altri segni e li contiene tutti in sé. Così ogni segno anticipa l’Ora della Pasqua e offre la chiave interpretativa della nostra esistenza umana e cristiana sempre alla luce dell’Ora della Pasqua.
Ecco perché, collocando questi segni nell’itinerario della quaresima, dopo la contemplazione del Cristo provato (prima domenica di quaresima) e del Cristo trasfigurato (seconda domenica di quaresima), la liturgia della quaresima ci invita a riconsiderare la nostra vita cristiana come esistenza rinata dall’Acqua Viva di Cristo (terza domenica di quaresima), come esistenza illuminata dalla Luce di Cristo (quarta domenica di quaresima), come esistenza che porta in sé la grazia della Vita Nuova di Cristo, che è Vita che non muore (quinta domenica di quaresima).
Accostiamoci allora alla pagina del vangelo di questa domenica che narra dell’incontro di Cristo con la Samaritana (Gv 4,5-42), primo segno dell’Acqua Viva dell’itinerario quaresimale.
2. Gesù compie un viaggio faticoso (Gv 4,6) attraverso la Samaria. È la fatica della evangelizzazione in una terra difficile. Infatti sappiamo che i Giudei consideravano i Samaritani come degli scismatici, poiché questi si erano fatti contaminare dallo stile idolatrico dei popoli vicini, e poi sul monte Garizim avevano costruito un Tempio al Dio d’Israele in contrapposizione al Tempio di Gerusalemme. All’idolatria dei Samaritani si allude quando Gesù parla dei “mariti” della donna (Gv 6,18), ai due Templi contrapposti quando si parla dell’adorazione del Padre «su questo monte» e «a Gerusalemme» (Gv 6,20-21). Va anche detto, però, che i Samaritani sono stati i custodi del testo biblico della Torah; se i primi cinque libri della Bibbia sono arrivati a noi, lo dobbiamo proprio a loro.
La fatica di Gesù, allora, sta nel far prendere coscienza alla donna della necessità di ritornare alle sorgenti della Parola di Dio, di riesaminare la sua esistenza e di ricucire la relazione fraterna con i Giudei.
3. L’incontro con la donna, avviene al pozzo di Giacobbe. Il pozzo nella Bibbia è il luogo dove, oltre che attingere acqua, avvengono gli incontri, nascono le amicizie. gli amori. E guardando con più attenzione nei testi biblici, come ha fatto, ad esempio, Origene, ci accorgiamo che il pozzo è simbolo anche della S. Scrittura, dove si va ad attingere l’acqua viva della Parola di Dio che accompagna il cammino della vita e che sazia la nostra sete di Dio e della sua Parola, ma con una particolarità: mentre sazia la sete, nel contempo la aumenta sempre di più (Sir 24,21); come a dire: ci sollecita sempre a cercare Dio e la sua Parola. Per questo la liturgia al vangelo accosta la pagina di Es 17,3-7 (prima lettura), dove l’acqua scaturita dalla roccia, simbolo della presenza di Dio in mezzo al suo popolo e della sua Parola (salmo responsoriale: Sal 95).
4. Grazie all’incontro con Gesù la donna Samaritana compie un itinerario di fede significativo.
Il primo momento (Gv 4,7-18) è dato dal dialogo amichevole con Gesù, il quale, stando seduto sul pozzo (come colui che siede per insegnare), suscita in lei la vera sete nella Parola di Dio e la aiuta ad esaminare la sua vita e le sue scelte idolatriche (i “mariti”). In questa fase del dialogo la donna percepisce che Gesù è un profeta.
Il dialogo continua per iniziativa della donna, che pone la domanda su quale monte si deve adorare Dio: Garizim o Gerusalemme? È il secondo momento dell’itinerario (Gv 4,19-26). La risposta di Gesù è tutta orientata a far comprendere che la vera adorazione del Padre consiste nel culto in Spirito e Verità, cioè nel culto esistenziale di una vita umana che si lascia animare e guidare dallo Spirito e plasmare dalla Verità, ovvero dalla persona del Figlio Gesù, la Parola eterna del Padre e l’immagine autentica della Fedeltà del Padre alle sue promesse di amore. Il vero tempio, luogo della presenza di Dio, è dunque la nostra persona, la nostra esistenza.
Va anche notato che parlandole del Padre, Gesù intende non solo convertire lo stile di vita della donna, riconciliandola con Dio e ridandole quella speranza che non delude (seconda lettura: Rm 5,1-2.5-8), ma anche ricucire la relazione interrotta tra Giudei e Samaritani, nel rispetto della diversità e della tipicità delle due popolazioni. D’altronde, parlare del Padre e adorare il Padre in Spirito e Verità, implica la consapevolezza del nostro essere tutti figli suoi e tutti fratelli tra di noi, nessuno escluso.
In questa fase del dialogo la donna comprende che il Messia Sposo atteso è Gesù, colui che ha aperto il dialogo amicale con lei, parlandole della Parola viva di Dio e degli autentici adoratori del Padre.
Il dialogo ha termine. Che cosa fa la donna? «Lascia la sua anfora» e va in città a raccontare l’esperienza dell’incontro con Gesù, il Cristo, il Messia. È il terzo momento dell’itinerario (Gv 4,28-30.39-42). La donna «lascia la sua anfora», che gli serviva per portare con sé l’acqua del pozzo, perché adesso, dopo l’incontro con Gesù, lei è diventata quel “pozzo” che porta in sé l’acqua zampillante della Parola di Dio («l’acqua che io gli darò, diventerà in lui una sorgente d’acqua zampillante per la vita eterna»: Gv 4,14) e la comunica agli altri con la forza della parola e della testimonianza (Gv 4,39).
La donna da evangelizzata è diventata evangelizzatrice, da idolatra (e tante e sottili sono le varie forme di idolatria… ) è diventata adoratrice del Padre in Spirito e Verità. E come ogni vero e autentico evangelizzatore e adoratore del Padre, non attira l’attenzione su di sé, ma su Cristo Gesù, affinché ognuno possa fare la stessa esperienza dell’incontro con il Messia, Sposo e salvatore del mondo.
E infatti, Gesù rimase in quella città due giorni, e coloro che credettero furono molto di più, e dissero alla donna: «Non è per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo» (Gv 4,42).
Che anche a noi, attingendo l’acqua viva della Parola di Dio, ci sia data la grazia di diventare veri adoratori del Padre, testimoni ed evangelizzatori del suo Figlio Gesù, Messia e Sposo della Chiesa e dell’umanità.
domenica 20 marzo 2011
II DOMENICA DI QUARESIMA – A
Guidati dalla Luce del suo Volto
1. Prosegue il cammino quaresimale con la contemplazione del Cristo trasfigurato (Mt 17,1-9). È una pagina evangelica che la liturgia pone in corrispondenza ideale con il Cristo provato e uscito vincitore dalla tentazione (Mt 4,1-11: il vangelo di domenica scorsa); come a dire: colui che è provato è colui che è trasformato interiormente dall’azione dello Spirito.
Nel contempo, considerata nel suo contesto, la pagina della trasfigurazione diventa un ulteriore correttivo alla professione di fede di Pietro (Mt 16,13-20), il quale non sopporta che il Messia debba patire (Mt 16,21-23), avendo forse maturato l’idea di un Messia secondo il pensiero degli uomini: un “Messia eroe nazionale” o un “Messia lontano dalla storia”.
È un correttivo valido anche per noi cristiani di questo nostro tempo, che spesso riduciamo la fede ad una semplice proposta etica e culturale, oppure a evasione dalla storia e dalla vita quotidiana.
2. L’evento della trasfigurazione si presenta innanzitutto come una esperienza “interiore”: «e li condusse in disparte», su un alto monte» (Mt 17,1). «In disparte» indica un momento di interiorità (non di intimismo) dei discepoli e di Gesù. Ed è proprio in questo momento che Gesù si trasfigura: la sua persona (il volto e sue vesti) irradia luce, la presenza luminosa di Dio, della sua Sapienza e del suo Spirito. Non è una luce che dall’esterno si proietta verso Gesù, ma, al contrario, è una luce tutta interna a Gesù, è una luce che lui irradia dalla sua interiorità più profonda, una luce che si porta dentro e che sempre l’accompagna.
Questa luce si mantiene viva in Gesù, perché egli è il Figlio in ascolto della Parola del Padre, che parla attraverso la Legge (qui rappresentata da Mosè) e i Profeti (qui rappresentati da Elia). Il suo è un ascolto dialogico con la Parola («conversavano con lui»), un ascolto in cui mette a confronto la propria vita con l’esperienza di Mosè e del profeta Elia, e si sente confermato nella missione di Messia secondo il pensiero di Dio e non secondo quello degli uomini.
E così la vita di Gesù riceve luce dalla Parola di Dio («Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino»: Sal 119,105) e nello stesso tempo dà ancora più Luce alla Parola («Io sono la luce del mondo»: Gv 8,12; Mt 4,16-17).
3. Nell’ascolto dialogico di Gesù con Mosè ed Elia interviene Pietro (Mt 17,4), proponendo di fare tre capanne, una per Gesù, una per Mosè e una per Elia, al fine di potersi fermare e stazionare sul monte. Questa è la risposta di Pietro all’ascolto della conversazione di Gesù con la Legge e i Profeti.
Mentre ancora dice la sua risposta, ecco la nube luminosa dello Spirito coprire Pietro e i discepoli, e dalla nube la voce del Padre che indica nel Figlio Amato il Messia Servo – non un Messia eroe nazionale né un Messia relegato nell’iperuranio – che Pietro e i discepoli sono chiamati ad ascoltare (Mt 17,5). Solo Gesù bisogna ascoltare, solo lui bisogna seguire, solo da lui bisogna lasciarsi condurre (Mt 17,8), e non da altri presunti messia…
E così, dopo aver ascoltato la voce del Padre, Gesù con i suoi discepoli scendono dal monte, scendono nel mondo, nella storia, nella vita quotidiana.
Comprendiamo, allora, che la voce del Padre, illuminata dallo Spirito (la nube luminosa), ha corretto la risposta di Pietro e dei discepoli, perché la vera risposta non sta nel fermarsi sul monte, ma nel discendere con Gesù, e soltanto con lui, nella storia e nella vita quotidiana. L’esperienza sul monte è un’esperienza importante, ma è una sosta temporanea, non una fermata definitiva. D’altronde, sia il riferimento al monte sia il riferimento alle capanne, richiamano l’esigenza del cammino nella storia. Infatti il monte qui evoca la sosta del popolo di Israele al monte Sinai, dove ricevette da Dio la Torah, la Legge (Es 19): certo quella fu una sosta prolungata, ma comunque sempre temporanea, perché poi il popolo riprese il lungo cammino verso la terra promessa. E le capanne evocano una delle feste più importanti di Israele: la “festa delle capanne”, per gioire dei frutti che Dio dona alla terra e per ricordare il cammino del popolo d’Israele nel deserto fino alla terra promessa (Lv 23,39-43); e, si sa, la capanna (o tenda) è una dimora provvisoria: serve per la sosta, poi la si smonta e si riparte, per rimontarla altrove. E la Chiesa e la vita cristiana non è simile ad una tenda… (Eb 9,11; Gv 1,14; Mt 8,20; 1Pt 2,11)?
Quindi è nella storia, nella vita quotidiana che siamo chiamati a camminare con Gesù, lasciandoci illuminare dalla luce della sua sapienza e della sua Parola. Come Abramo, che partì guidato dalla promessa di Dio (prima lettura: Gen 12,1-4) e sorretto dalla sua Parola (salmo responsoriale: Sal 33). Come Paolo, che affronta le difficoltà della vita, lasciandosi orientare dallo stile di vita di Gesù e dal suo vangelo (seconda lettura: 2Tm 1,8b-10).
Che il Signore, allora, orienti e guidi anche il nostro cammino nella storia con la luce splendente del suo Volto.
1. Prosegue il cammino quaresimale con la contemplazione del Cristo trasfigurato (Mt 17,1-9). È una pagina evangelica che la liturgia pone in corrispondenza ideale con il Cristo provato e uscito vincitore dalla tentazione (Mt 4,1-11: il vangelo di domenica scorsa); come a dire: colui che è provato è colui che è trasformato interiormente dall’azione dello Spirito.
Nel contempo, considerata nel suo contesto, la pagina della trasfigurazione diventa un ulteriore correttivo alla professione di fede di Pietro (Mt 16,13-20), il quale non sopporta che il Messia debba patire (Mt 16,21-23), avendo forse maturato l’idea di un Messia secondo il pensiero degli uomini: un “Messia eroe nazionale” o un “Messia lontano dalla storia”.
È un correttivo valido anche per noi cristiani di questo nostro tempo, che spesso riduciamo la fede ad una semplice proposta etica e culturale, oppure a evasione dalla storia e dalla vita quotidiana.
2. L’evento della trasfigurazione si presenta innanzitutto come una esperienza “interiore”: «e li condusse in disparte», su un alto monte» (Mt 17,1). «In disparte» indica un momento di interiorità (non di intimismo) dei discepoli e di Gesù. Ed è proprio in questo momento che Gesù si trasfigura: la sua persona (il volto e sue vesti) irradia luce, la presenza luminosa di Dio, della sua Sapienza e del suo Spirito. Non è una luce che dall’esterno si proietta verso Gesù, ma, al contrario, è una luce tutta interna a Gesù, è una luce che lui irradia dalla sua interiorità più profonda, una luce che si porta dentro e che sempre l’accompagna.
Questa luce si mantiene viva in Gesù, perché egli è il Figlio in ascolto della Parola del Padre, che parla attraverso la Legge (qui rappresentata da Mosè) e i Profeti (qui rappresentati da Elia). Il suo è un ascolto dialogico con la Parola («conversavano con lui»), un ascolto in cui mette a confronto la propria vita con l’esperienza di Mosè e del profeta Elia, e si sente confermato nella missione di Messia secondo il pensiero di Dio e non secondo quello degli uomini.
E così la vita di Gesù riceve luce dalla Parola di Dio («Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino»: Sal 119,105) e nello stesso tempo dà ancora più Luce alla Parola («Io sono la luce del mondo»: Gv 8,12; Mt 4,16-17).
3. Nell’ascolto dialogico di Gesù con Mosè ed Elia interviene Pietro (Mt 17,4), proponendo di fare tre capanne, una per Gesù, una per Mosè e una per Elia, al fine di potersi fermare e stazionare sul monte. Questa è la risposta di Pietro all’ascolto della conversazione di Gesù con la Legge e i Profeti.
Mentre ancora dice la sua risposta, ecco la nube luminosa dello Spirito coprire Pietro e i discepoli, e dalla nube la voce del Padre che indica nel Figlio Amato il Messia Servo – non un Messia eroe nazionale né un Messia relegato nell’iperuranio – che Pietro e i discepoli sono chiamati ad ascoltare (Mt 17,5). Solo Gesù bisogna ascoltare, solo lui bisogna seguire, solo da lui bisogna lasciarsi condurre (Mt 17,8), e non da altri presunti messia…
E così, dopo aver ascoltato la voce del Padre, Gesù con i suoi discepoli scendono dal monte, scendono nel mondo, nella storia, nella vita quotidiana.
Comprendiamo, allora, che la voce del Padre, illuminata dallo Spirito (la nube luminosa), ha corretto la risposta di Pietro e dei discepoli, perché la vera risposta non sta nel fermarsi sul monte, ma nel discendere con Gesù, e soltanto con lui, nella storia e nella vita quotidiana. L’esperienza sul monte è un’esperienza importante, ma è una sosta temporanea, non una fermata definitiva. D’altronde, sia il riferimento al monte sia il riferimento alle capanne, richiamano l’esigenza del cammino nella storia. Infatti il monte qui evoca la sosta del popolo di Israele al monte Sinai, dove ricevette da Dio la Torah, la Legge (Es 19): certo quella fu una sosta prolungata, ma comunque sempre temporanea, perché poi il popolo riprese il lungo cammino verso la terra promessa. E le capanne evocano una delle feste più importanti di Israele: la “festa delle capanne”, per gioire dei frutti che Dio dona alla terra e per ricordare il cammino del popolo d’Israele nel deserto fino alla terra promessa (Lv 23,39-43); e, si sa, la capanna (o tenda) è una dimora provvisoria: serve per la sosta, poi la si smonta e si riparte, per rimontarla altrove. E la Chiesa e la vita cristiana non è simile ad una tenda… (Eb 9,11; Gv 1,14; Mt 8,20; 1Pt 2,11)?
Quindi è nella storia, nella vita quotidiana che siamo chiamati a camminare con Gesù, lasciandoci illuminare dalla luce della sua sapienza e della sua Parola. Come Abramo, che partì guidato dalla promessa di Dio (prima lettura: Gen 12,1-4) e sorretto dalla sua Parola (salmo responsoriale: Sal 33). Come Paolo, che affronta le difficoltà della vita, lasciandosi orientare dallo stile di vita di Gesù e dal suo vangelo (seconda lettura: 2Tm 1,8b-10).
Che il Signore, allora, orienti e guidi anche il nostro cammino nella storia con la luce splendente del suo Volto.
venerdì 18 marzo 2011
Il volto di Gesù brillò come il sole…
“Di te dice il mio cuore: Cercate il suo volto.
Il tuo volto io cerco o Signore.
Non nascondermi il tuo volto” (Sl 26, 8-9)
oppure:
"Ricorda, Signore, il tuo amore e la tua bontà,
le tue misericordie che sono da sempre.
Non trionfino su di noi i nostri nemici;
libera il tuo popolo, Signore, da tutte le sue angosce" (Sal 24,
6.3.22)
Colletta
O Dio, che chiamasti alla fede i nostri padri
e hai dato a noi la grazia di camminare alla luce del Vangelo,
aprici all'ascolto del tuo Figlio,
perchè accettando nella nostra vista il mistero della croce,
possiamo entrare nella gloria del tuo regno.
Questa seconda domenica di quaresima ci viene presentata la trasfigurazione
e ci viene subito in mente un determinato brano evangelico e un probabile
messaggio.
Nella prima lettura (Gen 12, 1-4a) Abramo viene chiamato dal Signore, che
non conosceva.
Viene chiamato ma viene anche mandato: ”Vattene dalla tua terra, dalla tua
parentela e dalla casa di tuo padre”. Deve uscire dalla sua terra, per
dove? “Verso una terra che io ti indicherò”.
Grande è la fede di questo nostro antenato. Ascolta la voce del Signore e
si decide nel suo cuore di realizzare quanto il Signore comanda. Cosa
deriva da questo ascolto? “Farò di te una grande nazione e ti benedirò”.
Il Signore lo chiama ad un distacco, ma la ricompensa è straordinariamente
grande!
Nella seconda lettura (2Tim 1, 8b-10) Timoteo riceve un'altra chiamata:
è chiamato a soffrire insieme a Paolo. Gesù non ci ha dato uno spirito di
timidezza ma una vocazione santa, basata sulla sua Grazia e non sulle
nostre deboli forze.
Il vangelo di oggi (Mt 17, 1-9) ci parla della trasfigurazione di Gesù:
Pietro, Giacomo e Giovanni son testimoni di questa manifestazione... e ne
restano anche abbastanza sconvolti.
Si trovano sul monte Tabor insieme con Gesù quando compaiono Mosè ed Elia,
la legge ed i profeti. Odono, come al Giordano, la voce del Padre che
dice: "Questi è il Figlio mio, l'amato: in lui ho posto il mio
compiacimento. Ascoltatelo".
Mentre stanno scendendo dal monte Gesù dice loro di non rivelare a nessuno
questa visione, ma solo dopo che lui sia risorto dai morti. Pensiamo - noi
come i tre discepoli - di essere di fronte a un grande mistero. Vedono e
odono cose mai prima viste e udite. Si è presi da timore e spavento.
Ma Gesù li rassicura, rassicura loro come noi.
La Trasfigurazione ci ricorda che noi siamo figli del Padre: ascoltando
Gesù il vero Figlio, siamo anche noi partecipi del loro amore e della loro
comunione.
Gesù arriva fino alla fine in questo suo amore per noi, fino alla morte di
croce e alla risurrezione dai morti.
Viene allora spontaneo al nostro cuore la preghiera del Salmista:
"Donaci Signore il tuo amore, in te speriamo".
domenica 13 marzo 2011
I DOMENICA DI QUARESIMA – A
Con Gesù lottare per vivere
1. Iniziamo il cammino della Quaresima verso la Pasqua del Signore. È un “tempo propizio” che il Signore ci mette a disposizione per il rinnovamento della nostra vita. Perciò è tempo di conversione e di riconciliazione con Dio e con i fratelli; è tempo di preghiera, cioè di ascolto più assiduo e intenso della Parola; è tempo di digiuno per una maggiore sobrietà di vita; è tempo di maggiore attenzione agli altri, in particolare ai poveri, a coloro che sono stati impoveriti dall’egoismo e dall’ingiusta ricchezza degli altri.
Si tratta di ripercorrere l’itinerario battesimale-crismale dell’iniziazione cristiana, al fine di approfondire sempre di più i risvolti esistenziali del nostro essere cristiani, cioè conformi allo stile di vita di Cristo Gesù. È convinzione comune che “cristiani si nasce, non lo si diventa”. Essere cristiani, per noi italiani, è diventato un fatto naturale-antropologico ed etico-culturale, tanto da trasformare il crocifisso – è uno dei dibattiti correnti più curiosi e insipienti intorno al 150° dell’unità di Italia – in un simbolo culturale e di unità nazionale. E su questo nessuno dei cristiani fa sentire chiaro il suo dissenso, neppure chi ha responsabilità ecclesiali. Se a noi ci va bene equiparare il crocifisso alla bandiera italiana, questo dà la misura del grado di consapevolezza che oggi abbiamo del nostro essere cristiani.
E allora, ben venga oggi la Quaresima a fare da contesto, per noi cristiani, al 150° dell’unità di Italia, per imparare di nuovo, alla sequela di Cristo Gesù, il significato vero dell’esistenza cristiana.
2. Molto opportunamente la prima tappa dell’itinerario quaresimale inizia con il vangelo delle tentazioni di Gesù (Mt 4,1-11). Dopo il battesimo (Mt 3,13-17), dove prende pienamente coscienza di essere il Figlio amato del Padre, Gesù è condotto dallo Spirito nel deserto per essere messo alla prova.
Quel deserto rappresenta le complesse situazioni della vita che Gesù dovrà affrontare. E quella prova, proprio perché viene condotto dallo Spirito, rappresenta un momento intenso di verifica e di discernimento alla luce della Parola e della volontà del Padre. È Dio che, come un buon Padre, mette alla prova per sapere quello che hai nel cuore (Dt 8,2). Gesù, proprio perché Figlio amato, si è sottoposto a questa prova (Eb 2,18), e non solo per un momento, ma lungo l’intero arco della sua esistenza terrena, fino al Getsèmani (Mt 2636-46), fino alla Croce (Mt 27,39-44). La prova per Gesù è stata anche un momento intenso di lotta contro le suggestioni e le seduzioni ingannatrici della vita. Le tentazioni nel deserto e il Golgota – momenti della lotta – racchiudono tutta la vita di Gesù.
3. La verifica, il discernimento e la lotta esigono il digiuno. E Gesù digiuna «per quaranta giorni e quaranta notti», cifra simbolica che indica l’arco di una vita. Come tutta la vita è un continuo essere messi alla prova, così è anche per il digiuno. Perché il digiuno è quel “momento propizio” dove siamo chiamati a mettere un po’ di ordine nella vita per fare spazio a Dio e decidere quali sono le cose essenziali per cui vale la pena di vivere.
4. Certo, il digiuno fa venire la fame. Di Gesù è scritto che «alla fine ebbe fame» (Mt 4,2), come a dire: l’esito del digiuno è la fame. E subito la pagina evangelica scrive: «Il tentatore si avvicinò e gli disse… » (Mt 4,3). Ecco: il tentatore, il divisore (= diavolo) si insinua, si introduce proprio nella fame di Gesù; è come se il tentatore-divisore assumesse anche il nome di “fame”.
Di quale “fame” si tratta? Qui sta la verifica e il discernimento; qui sta anche il senso della lotta di Gesù.
Può essere fame della Parola di Dio (Am 8,11), suscitata dalla presenza di Dio e del suo Spirito: la Parola di Dio sazia la fame, ma saziando, ti scava dentro e ti mette ancora più fame (Sir 24,20).
Oppure può essere fame di potere idolatrico e mondano suscitata dal tentatore-divisore; vale a dire:
— fame del potere economico (prima tentazione: Mt 4,3-4), ovvero uso egoistico dei beni della terra, di cui il pane è cifra simbolica;
— fame del potere religioso (seconda tentazione: Mt 4,5-7), ovvero uso strumentale di Dio piegato al nostro volere e ai nostri bisogni;
— fame del potere politico (terza tentazione: Mt 4,8-10), ovvero svendita della propria dignità di uomo e di Figlio di Dio pur di dominare e asservire il mondo.
Gesù non si è lasciato sedurre da nessuno di questi tre poteri. Egli, a differenza di Adamo (prima lettura: Gen 2,7-9; 3,1-7), lottando fino alla fine, ha conservato la dignità di Figlio di Dio, piegando le ginocchia solo davanti al Padre, adorando solo Lui e nessun altro. Per questo, scrive l’apostolo Paolo (seconda lettura: Rm 5,12-19), egli è l’Adamo Autentico, l’Uomo Vero, l’Uomo secondo il cuore di Dio, capace di risollevarci dalle nostre cadute nella polvere del potere idolatrico, per ridonarci la dignità di figli di Dio e il vero Senso della vita, che non sta nella fame del potere ma nel servizio gratuito e disinteressato: «Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco, degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano» (Mt 4,11).
Con il salmista (salmo responsoriale: Sal 51), chiediamo a Dio di essere liberati dalla fame del potere idolatrico e, come Gesù, di avere il coraggio di lottare contro le facili seduzioni del male, specialmente quelle che ci fanno svendere la dignità di creature umane e di figli di Dio, pur di contare qualcosa agli occhi degli uomini.
1° Domenica di Quaresima Anno A
"Egli mi invocherà e io lo esaudirò;
gli darò salvezza e gloria,
lo sazierò con una lunga vita" (Sl 90, 15-16)
Colletta
O Dio, che conosci la fragilità della natura umana ferita dal peccato,
concedi al tuo popolo di intraprendere con la forza della tua parola il
cammino quaresimale,
per vincere le seduzioni del maligno e giungere alla Pasqua nella gioia
dello Spirito.
La prima cosa che ci salta alla vista di questa prima domenica è questa:
"Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca
di Dio".
Inizia il nostro cammino quaresimale in questa che è detta la domenica
“della tentazione”
La prima lettura è tratta dal libro della Genesi (2,7-9; 3,1-7 ).
Il testo descrive -con un linguaggio anche poetico- il peccato dell’uomo
nel giardino di Eden.
Il desiderio di essere simili a Dio inganna i nostri progenitori. I
versetti riportati in questa liturgia ci presentano solo questo.
Nella seconda lettura, Paolo (Rm 5, 12, 17-19) narra che a causa della
mancanza dei progenitori il peccato è entrato nel mondo.
Ma la grazia in vista di Gesù Cristo ha superato tale caduta, e nel Figlio
siamo stati fatti a immagine di Dio.
La Parola di Dio del ciclo A ha una stretta connessione tra le letture
domenicali: la prima lettura, la seconda e il Vangelo.
Il Vangelo di Matteo (Mt 4, 1-11) ci presenta la tentazione di Gesù nel
deserto.
L’evangelista descrive le sue tre tentazioni a cui fu sottoposto Gesù. E in
lui noi siamo vincitori.
In queste tre tentazioni c'è racchiusa ogni possibile tentazione
dell'uomo: la tentazione del potere, dell’avere e del piacere.
Ma Gesù ci insegna a vincere: con la Parola di Dio, con l’essere sottomessi
al Signore e a Lui solo rendere onore e culto.
Lasciarsi “vincere” dal male, dalle tentazioni significa diventare più
schiavi: schiavi del peccato, di falsi valori e false libertà.
Il Signore si pone davanti a noi, oggi, come il modello da imitare.
Ci insegna ad ascoltare la Parola di Dio, a pregare e a condurre una vita
dignitosa e tranquilla, ci insegna a partecipare ai sacramenti per avere
l’aiuto necessario e superare le prove e le tentazioni.
Gesù ci vuole insegnare ad “ascoltare” la voce dello Spirito quando quella
della carne ci spinge al male.
Ci vuole insegnare a “resistere” alle tentazioni, per provare la nostra
fedeltà a Lui, il nostro amore a Lui.
Il salmista ci fa cantare: Perdonaci Signore, abbiamo peccato (stesso
ritornello del mercoledì delle Ceneri).
Possiamo pregare con il salmo 90/91
Chi abita al riparo dell'Altissimo,
passerà la notte all'ombra dell'Onnipotente.
Io dico al Signore: Mio rifugio e mia fortezza,
mio Dio in cui confido.
Egli ti libererà dal laccio del cacciatore,
dala peste che distrugge.
Ti coprirà con le sue penne,
sotto le sue ali troverai rifugio;
la sua fedeltà ti sarà scudo e corazza.
gli darò salvezza e gloria,
lo sazierò con una lunga vita" (Sl 90, 15-16)
Colletta
O Dio, che conosci la fragilità della natura umana ferita dal peccato,
concedi al tuo popolo di intraprendere con la forza della tua parola il
cammino quaresimale,
per vincere le seduzioni del maligno e giungere alla Pasqua nella gioia
dello Spirito.
La prima cosa che ci salta alla vista di questa prima domenica è questa:
"Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca
di Dio".
Inizia il nostro cammino quaresimale in questa che è detta la domenica
“della tentazione”
La prima lettura è tratta dal libro della Genesi (2,7-9; 3,1-7 ).
Il testo descrive -con un linguaggio anche poetico- il peccato dell’uomo
nel giardino di Eden.
Il desiderio di essere simili a Dio inganna i nostri progenitori. I
versetti riportati in questa liturgia ci presentano solo questo.
Nella seconda lettura, Paolo (Rm 5, 12, 17-19) narra che a causa della
mancanza dei progenitori il peccato è entrato nel mondo.
Ma la grazia in vista di Gesù Cristo ha superato tale caduta, e nel Figlio
siamo stati fatti a immagine di Dio.
La Parola di Dio del ciclo A ha una stretta connessione tra le letture
domenicali: la prima lettura, la seconda e il Vangelo.
Il Vangelo di Matteo (Mt 4, 1-11) ci presenta la tentazione di Gesù nel
deserto.
L’evangelista descrive le sue tre tentazioni a cui fu sottoposto Gesù. E in
lui noi siamo vincitori.
In queste tre tentazioni c'è racchiusa ogni possibile tentazione
dell'uomo: la tentazione del potere, dell’avere e del piacere.
Ma Gesù ci insegna a vincere: con la Parola di Dio, con l’essere sottomessi
al Signore e a Lui solo rendere onore e culto.
Lasciarsi “vincere” dal male, dalle tentazioni significa diventare più
schiavi: schiavi del peccato, di falsi valori e false libertà.
Il Signore si pone davanti a noi, oggi, come il modello da imitare.
Ci insegna ad ascoltare la Parola di Dio, a pregare e a condurre una vita
dignitosa e tranquilla, ci insegna a partecipare ai sacramenti per avere
l’aiuto necessario e superare le prove e le tentazioni.
Gesù ci vuole insegnare ad “ascoltare” la voce dello Spirito quando quella
della carne ci spinge al male.
Ci vuole insegnare a “resistere” alle tentazioni, per provare la nostra
fedeltà a Lui, il nostro amore a Lui.
Il salmista ci fa cantare: Perdonaci Signore, abbiamo peccato (stesso
ritornello del mercoledì delle Ceneri).
Possiamo pregare con il salmo 90/91
Chi abita al riparo dell'Altissimo,
passerà la notte all'ombra dell'Onnipotente.
Io dico al Signore: Mio rifugio e mia fortezza,
mio Dio in cui confido.
Egli ti libererà dal laccio del cacciatore,
dala peste che distrugge.
Ti coprirà con le sue penne,
sotto le sue ali troverai rifugio;
la sua fedeltà ti sarà scudo e corazza.
venerdì 4 marzo 2011
6 marzo 2011 – domenica della IX settimana del Tempo Ordinario
DALLA PAROLA DEL GIORNO
Gesù disse ai suoi discepoli: “Non chiunque mi dice: ‘Signore, Signore’, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli.”
Mt 7, 21
Come vivere questa Parola?
La preghiera è come l’aria per la vita spirituale. Non puoi farne a meno. E guai se ti lasci andare alle derive dell’attivismi, fosse pure “inzuppato” di santi intenzioni! Però la preghiera non è un macinar parole su parole ma il buon grano che è il suo farsi vita. E quale vita? Quella che coincide col compiere, momento per momento, la volontà di Dio. Gesù è venuto a darcene splendido esempio. Unito al Padre nel pensiero e nel cuore, ne è stato testimone operando il bene. Lui, che ha voluto perfino soggiacere alla terribile tentazione per essere in tutto come noi (fuor che nel peccato) ci ha insegnato quel che più conta. Perché impalcarsi a registi della propria vita, alienandosi da Dio e tentando un’autonomia fuori della sua volontà, coincide con l’autodistruzione. Mentre ciò che Dio vuole per noi è la solidità; di un progetto che è salvezza per noi. Proprio come la solidità della roccia su cui poggia la prima casa della breve parabola del vangelo odierno.
Nel Regno dei Cieli non si entra solo alla fine della vita ma, in serenità di fondo, in cuore di speranza e in clima di gioia si entra già ora. Appena uno decide a addestrarsi e discernere, momento per momento, ciò che è chiamato a fare per piacere a Dio, il Suo Regno che è amore pace gioia bontà e ogni altro vero bene, s’instaura nel profondo e s’irradia poi intorno a lui.
Signore, dammi sempre di intendere quello che tu vuoi da me e che la tua PAROLA e le mediazioni di Esse mi chiarificano. E dammi volontà forte a compiere quello che mi chiedi. Rendimi come sulla roccia!
La voce di un dottore della chiesa
L’anima che è tesa verso Dio, viene illuminata dalla luce ineffabile della preghiera.
S. Giovanni Crisostomo
Gesù disse ai suoi discepoli: “Non chiunque mi dice: ‘Signore, Signore’, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli.”
Mt 7, 21
Come vivere questa Parola?
La preghiera è come l’aria per la vita spirituale. Non puoi farne a meno. E guai se ti lasci andare alle derive dell’attivismi, fosse pure “inzuppato” di santi intenzioni! Però la preghiera non è un macinar parole su parole ma il buon grano che è il suo farsi vita. E quale vita? Quella che coincide col compiere, momento per momento, la volontà di Dio. Gesù è venuto a darcene splendido esempio. Unito al Padre nel pensiero e nel cuore, ne è stato testimone operando il bene. Lui, che ha voluto perfino soggiacere alla terribile tentazione per essere in tutto come noi (fuor che nel peccato) ci ha insegnato quel che più conta. Perché impalcarsi a registi della propria vita, alienandosi da Dio e tentando un’autonomia fuori della sua volontà, coincide con l’autodistruzione. Mentre ciò che Dio vuole per noi è la solidità; di un progetto che è salvezza per noi. Proprio come la solidità della roccia su cui poggia la prima casa della breve parabola del vangelo odierno.
Nel Regno dei Cieli non si entra solo alla fine della vita ma, in serenità di fondo, in cuore di speranza e in clima di gioia si entra già ora. Appena uno decide a addestrarsi e discernere, momento per momento, ciò che è chiamato a fare per piacere a Dio, il Suo Regno che è amore pace gioia bontà e ogni altro vero bene, s’instaura nel profondo e s’irradia poi intorno a lui.
Signore, dammi sempre di intendere quello che tu vuoi da me e che la tua PAROLA e le mediazioni di Esse mi chiarificano. E dammi volontà forte a compiere quello che mi chiedi. Rendimi come sulla roccia!
La voce di un dottore della chiesa
L’anima che è tesa verso Dio, viene illuminata dalla luce ineffabile della preghiera.
S. Giovanni Crisostomo
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