Antichi resti dei primi carmelitani

Antichi resti dei primi carmelitani

Beata Vergine Maria del Monte Carmelo

Beata Vergine Maria del Monte Carmelo
"Gli è data la gloria del Libano, lo splendore del Carmelo e di Saron" Is 35,2.

domenica 3 aprile 2011

IV DOMENICA DI QUARESIMA – A

L’itinerario di fede dell’uomo nato cieco

1. Continua l’itinerario della quaresima con la pagina evangelica che traccia l’itinerario di fede dell’uomo nato cieco (Gv 9). Anche questo itinerario, come quello percorso dalla Samaritana, evidenzia la qualità battesimale-crismale della vita cristiana, la proposta di uno stile di vita alternativo, radicato nella morte e risurrezione del Signore e nel dono del suo Spirito.

2. La pagina del vangelo sottolinea subito una particolarità significativa: il passaggio di Gesù che vede «un uomo cieco dalla nascita» (Gv 9,1). Il “passaggio” allude alla Pasqua e il “vedere” è espressione del suo sguardo amante di Gesù (Mc 10,21) nel quale si riflette lo sguardo amante e appassionato di Dio per l’umanità. Ecco: l’incontro di Gesù con l’uomo cieco dalla nascita è incontro pasquale: egli riceve la grazia di poter fare Pasqua, di far compiere alla propria esistenza un “passaggio”, un “salto” di qualità (la parola “pasqua” dice sia “passare” che “saltare”).
Ecco perché la sua condizione di “uomo nato cieco” non è attribuibile al suo peccato o al peccato dei suoi genitori, ma al fatto che «in lui siano manifestate le opere di Dio», che sono opere che donano la luce, perché l’opera di Dio che compie Gesù – colui che è luce del mondo (Gv 9,5; 8,12) – consiste nell’accompagnare il nostro cammino di fede: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato» (Gv 6,29). E credere è un atto di affidamento: vuol dire affidarsi a Dio e a Cristo Gesù, fondare la propria esistenza su Dio e su Cristo Gesù.

3. Gesù inizia la sua opera di accompagnamento dell’uomo nato cieco con alcuni gesti che sono evocativi della creazione dell’uomo fatto dalla terra (Gen 2,7), dell’uomo – di ogni uomo – che per sua natura è un terroso:
— sputa per terra, che è l’umanità, rappresentata dall’uomo nato cieco;
— fa del fango con la saliva, che è la sua sapienza (Pr 2,6; Sap 9,2) e il suo Spirito (Sal 33,6);
— spalma il fango sugli occhi del cieco, che è come una unzione crismale;
— invia il cieco nato a lavarsi nella piscina di Siloe, a cui si dà il nome di “Inviato”, che evoca lo stesso Gesù, l’Inviato del Padre (Gv 9,4): è un’allusione al battesimo, all’immersione nella morte e risurrezione dell’Inviato del Padre, per rinascere a vita nuova.
In obbedienza alla parola di Gesù, l’uomo nato cieco va a lavarsi, a immergersi nella “vasca battesimale” che rappresenta l’Inviato; e venendo dalla quella immersione «ci vedeva» (Gv 9,7): per la prima volta nella sua vita quell’uomo/umanità inizia a “vedere con più attenzione” (è questo il senso del verbo). Più avanti si preciserà che a quell’uomo/umanità gli sono stati “aperti gli occhi”, e ancora, che ha “riacquistato la vista”, ma in realtà il testo dice che ha acquistato la capacità di “alzare lo sguardo”, di allargare i propri orizzonti, le proprie vedute.
Tutto questo dice in che modo quest’uomo/umanità sta vivendo la Pasqua del Signore: sta “passando” da un modo di vedere superficiale e incapace di discernimento ad un modo di vedere che sa andare in profondità, che sa discernere, da una vista chiusa ad una vista aperta, da una vista corta ad una vista più ampia, capace di allargare i propri orizzonti di vita. È veramente un “passaggio” decisivo, un salto di qualità che quest’uomo/umanità per la prima volta sta sperimentando nella sua vita.
Di fatto, noi nasciamo così: la cecità, dovuta ad uno sguardo corto che spesso si ferma alla superficie, all’epidermide, alla banalità della vita, è costitutiva della nostra esistenza umana. Perciò abbiamo bisogno che qualcuno ci educhi a vedere in modo diverso noi stessi e Dio, le nostre relazioni e la realtà che ci circonda, la storia che viviamo; abbiamo bisogno che Cristo Pastore (salmo responsoriale: Sal 23) ci educhi e ci accompagni a saper vedere con i suoi stessi occhi, che poi riflettono gli occhi di Dio, perché «l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore» (prima lettura: 1Sam 16,1.4.6-7.10-13).
Così è avvenuto all’uomo/umanità cieco dalla nascita, il quale, come un mendicante (Gv 9,8), chiedeva che qualcuno lo aiutasse a vedere diversamente; e Gesù, Luce del mondo, vedendolo con sguardo di amore, lo aiutato, rigenerandolo come “figlio della luce” (seconda lettura: Ef 5,8-14).

4. Qual è la reazione degli altri di fronte all’esperienza di quest’uomo?
I vicini non lo riconoscono, alcuni lo riconoscono, altri notano in lui una certa “somiglianza”. A questi l’uomo risponde: «Sono io». È lo stesso modo di presentarsi di Dio e di Gesù: veramente quest’uomo ha riacquistato la somiglianza con Dio e con Gesù. È diventato un “altro Cristo”, un suo discepolo.
E a somiglianza di Cristo è sottoposto ad un processo, il cui esito è l’espulsione fuori della sinagoga, come Gesù, il quale sarà crocifisso fuori della città.
Ma qui si aggiunge un fatto interessante: durante il processo cui è sottoposto, quest’uomo non si incattivisce, ma lo affronta con dignità e questo gli permette di crescere in umanità e nella fede. Infatti, prima non sa da dove viene Gesù (Gv 9,12), poi lo riconosce come profeta (Gv 9,17), poi ancora si rende conto che viene da Dio (Gv 9,33), e infine lo riconosce come Signore, si affida a lui e lo adora (Gv 9,38). Ecco l’itinerario di fede compiuto da quest’uomo, ormai cresciuto in umanità e sapienza, cresciuto, come riconoscono i suoi genitori, nella statura di uomo adulto nella fede (Gv 9,21; Ef 4,13).

Che il Signore illumini anche la nostra esistenza, affinché prendiamo le distanze da ogni sguardo superficiale, da ogni banalità e apparenza, e impariamo a vedere la vita e la storia con gli occhi di Dio, ovvero con più attenzione, con discernimento, più in profondità, aperti sempre ad alzare lo sguardo verso nuovi orizzonti.